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Risicoltori ferraresi in crisi: prezzi e nutrie i principali problemi

In attesa delle semine primaverili, la risicoltura ferrarese sta soffrendo in maniera evidente la forte crisi di mercato di questa fase della campagna. In base all’analisi del Gie (Gruppo di Interesse Economico) cereali di Cia-Agricoltori Italiani Ferrara, che riunisce i principali risicoltori del territorio, la situazione si è aggravata in questi primi mesi dell’anno per due ragioni principali: le previsioni di semina che fanno presagire una futura disponibilità di prodotto – (+0,9%) rispetto al 2020 – e la tendenza dell’industria a non acquistare risoni o a proporre prezzi al di sotto dei costi di produzione.

“Durante e dopo la campagna di raccolta 2020 le quotazioni hanno premiato i risicoltori con prezzi che, per le varietà più note come Carnaroli, sono arrivati anche a 55 euro/q – spiega Massimo Piva, risicoltore e vicepresidente di Cia Ferrara. Un mercato sicuramente condizionato dalla maggiore richiesta di riso della GDO (Grande Distribuzione Organizzata) che ha fatto scorte a causa dell’emergenza sanitaria. Poi i prezzi si sono stabilizzati per alcuni mesi e ora stiamo vivendo una contrazione, che possiamo definire “anomala”. Tendenzialmente, infatti, in questa fase della campagna di commercializzazione, diciamo tra gennaio e febbraio, c’è sempre stato un aumento delle quotazioni dei Superfini che, invece, sono scesi intorno ai 45 euro/q. Ci troviamo quindi nella preoccupante situazione di avere ancora dei risoni nei magazzini che le riserie non acquistano, probabilmente perché hanno fatto scorte nei mesi precedenti a causa della pandemia, o che propongono di comprare a prezzi inferiori rispetto ai listini. Forse –continua Piva – sta pesando anche la pubblicazione del sondaggio dell’Ente Risi che prevede un aumento delle superfici investite e che fa stare tranquilla l’industria sulla futura disponibilità. Ma, vogliamo dirlo chiaramente: produrre riso nel ferrarese al di sotto dei 45 euro significa andare in perdita, per le particolari condizioni in cui ci troviamo a produrre, che fanno lievitare i costi produttivi”.

“Oltre ai normali trattamenti agro-meccanici e fitosanitari, infatti, noi dobbiamo affrontare costi aggiuntivi per ripristinare le arginature delle risaie continuamente erose dalle nutrie, che continuano a proliferare indisturbate e sono ormai un problema endemico. Un’erosione che porta anche alla fuoriuscita dell’acqua e alla conseguente necessità di riempire nuovamente i bacini per mantenere il livello necessario alla vegetazione del riso. Ai costi dell’acqua della manodopera per i lavori di sistemazione delle risaie sommiamo, inoltre, quelli per le polizze assicurative che stanno raggiungendo percentuali simili a quelli del frutteto. Un insieme di costi che finiscono per rendere questa coltura dalle potenzialità straordinarie anti-economica. Noi coltiviamo in una zona vocata alla produzione dei Superfini e con queste cifre e l’incertezza derivata dal non sapere quando potremo vendere il prodotto, c’è il rischio di abbandono della risicoltura a favore della soia. Stiamo già lavorando – conclude Piva – per predisporre le risaie alle semine primaverili che inizieranno ad aprile e ci troviamo a farlo nel bel mezzo di un blocco di mercato che ci impedisce di vendere il riso rimasto nei nostri magazzini, una situazione che possiamo definire surreale. Un ritorno alla normalità sarebbe possibile solo con minori importazioni di riso esente da dazi o a dazi agevolati per quello che riguarda i risi tondi”.

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